Tra pochi giorni la Cop26 di Glasgow giungerà al capolinea e, dalle informazioni finora trapelate, la fumata bianca pareva lontana. Secondo, infatti, le indiscrezioni raccolte e diffuse dai mass media, gli Stati partecipanti si erano mostrati in netto contrasto per quanto concerne la lotta al cambiamento climatico. Che l’emergenza pianeta non sia da prendere tanto alla leggera, ogni parte coinvolta in causa è concorde. Tuttavia, risultava difficile raggiungere un accordo globalmente soddisfacente. Perché, manco a dirlo, certe Nazioni fanno ancora parecchio leva sui vecchi sistemi di combustione. E, da che mondo è mondo, nel momento in cui vi sono pesanti interessi economici in ballo, ogni attore chiamato in causa, protagonista o meno, cerca di tirare acqua al proprio mulino.
Il discorso vale pure nel caso delle aziende partecipanti, compresa la Mercedes, la cui spinta all’elettrificazione della gamma è assodata. In più occasioni i portavoce della Casa di Stoccarda hanno espresso il desiderio di voltare pagina. Forte della conclamata fama di ambasciatore del cambiamento, la Stella intende confermarsi un passo avanti ai competitor. Ma sussistono delle criticità, degli ostacoli potenzialmente capaci di rallentare in misura ragguardevole il passaggio alle sole vetture “con la spina”.
Cop26: importanti risposte da fornire
La Cop26 di Glasgow, in Scozia, aveva il compito di fornire importanti risposte riguardo all’avvenire della mobilità. Ciononostante, sebbene non andassero esclusi colpi di scena da qui alla conclusione, i segnali emersi non inducono a pensare positivo. La bozza del documento finale avrebbe riscosso opinioni nettamente divergenti. Intanto, non si parla dello stop all’utilizzo dei carburanti fossili, uno degli aspetti più significativi alla vigilia. E chi crede sia semplicemente una situazione momentanea ci rimarrà probabilmente male nel constatare come non sarà affatto così. La ragione sarebbe da ricercarsi nell’opposizione avanzata da alcuni Paesi, tra cui l’Arabia Saudita. I grandi Paesi produttori di petrolio (racchiuse nel celebre cartello dell’Opec) non vorrebbero sentirne parlare. Del resto, dal petrolio derivano soprattutto le loro ricchezze e acconsentire significherebbe farsi il più clamoroso degli autogol. La domanda dell’oro nero permette di imporre prezzi elevatissimi e ottenere l’agognata fumata bianca sarà più dura del previsto.
Sulla carta, sembrava di essere in presenza all’ennesima cocente delusione, specialmente alla luce delle alte aspettative nutrite sulla Cop26. Nel frattempo, durante la notte tra martedì 9 e mercoledì 10 dicembre la Unfcc (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) ha confermato i timori, pubblicando la bozza del documento finale della Cop26, ricevuta e diramata dall’Ansa.. Il testo riconosce che limitare il riscaldamento globale a 1,5 C al 2100 impone rapide, tangibili e consistenti riduzioni delle emissioni globali di gas serra. Ciò include pure le emissioni complessive di anidride carbonica, da diminuire nella misura del 45 per cento al 2030 rispetto al livello del 2010 e a zero nette intorno al 2050.
La bozza di documento della Cop26 di Glasgow pubblicata nella notte accoglie, poi, favorevolmente gli incrementati impegni presi dai Paesi sviluppati per il fondo di aiuto a quelli meno sviluppati sancito dall’Accordo di Parigi. Essi hanno l’obiettivo di arrivare al più tardi nel 2023 al target dei 100 miliardi di dollari all’anno.
Nel corso dell’appuntamento, la maggior parte dei Costruttori attivi nell’automotive presenti ha ribadito il proposito di eliminare le emissioni di sostanze nocive nell’ambiente di nuovi veicoli entro il 2040: brand quali Ford, Jaguar Land Rover, Volvo, la cinese BYD e Mercedes-Benz. Come inevitabile che sia, fa poi più rumore la decisione di quei brand che, a seguito di mesi di trattative, hanno preferito tirarsi indietro. Dei veri e propri colossi dell’automotive si sono rifiutate di mettere nero su bianco.
Ricordiamo che l’impegno di ridurre le emissioni di anidride carbonica dal parco auto circolante è stato sottoposto al vaglio non solamente dalle Case automobilistiche, ma anche dei Governi nazionali, regionali e locali, degli operatori di sharing, e dagli investitori nei produttori auto. Alla fine, tanti attori interpellati hanno battuto in ritirata: tra le realtà dei motori, spiccano senza dubbio il gruppo BMW, Volswagen, Stellantis, Toyota, Hyundai e Renault. Essi hanno seguito il mancato sostegno di certi Governi nazionali di vertice quali quello statunitense, cinese, tedesco e francese. A onor del vero, comunque, determinati stati e città degli USA hanno ugualmente scelto, in via totalmente autonoma, di supportare l’accordo. Alla base del rifiuto, vi sarebbero le preoccupazioni sulla velocità di transizione verso i veicoli a zero emissioni in molteplici mercati.
Le obiezioni delle Case contrarie
Tra le Case che già in precedenza avevano dato segnali poco incoraggianti figuravano la Volkswagen e la Toyota. Nonostante la sua forte scommessa sull’elettrificazione, l’azienda di Wolfsburg aveva già incrociato le braccia. I nipponici, invece, erano intenti a negoziare il proprio impegno, senza escludere la loro adesione. Eppure, la prevalenza delle fonti vicine alla casa delle tre ellissi esprimeva perplessità sulla sottoscrizione. Ciò per via della riluttanza di alcuni governi chiave. A proposito di governi chiave, Washington avrebbe riflettuto sino in fondo, prima di dire “no”, mentre Berlino avrebbe giustificato la propria volontà con l’intenzione di portare avanti lo sviluppo dei carburatori sintetici.
In quanto ai costruttori, nessuno si sarebbe opposto alla cancellazione graduale delle emissioni di anidride carbonica, ma tutti avrebbero sollevato “specifiche obiezioni”, stando al Financial Times. Nello specifico, la Volkswagen avrebbe posto l’accento sul bisogno di andare incontro alle differenti esigenze di sviluppo di mercati e regioni e sul due di picche rifilato dalla Cina allo stop al ricorso al carbone per la produzione di energia. Presumibilmente ha accampato le stesse giustificazioni la Toyota, secondo la quale mercati come l’America Latina e l’Africa potrebbero comportare tempi di attesa ben maggiori rispetto ai Paesi evoluti per abbracciare l’elettrico.
La bozza del documento finale parla chiaro riguardo ai contributi che i Paesi meno sviluppati otterranno dagli Stati capofila. La BMW avrebbe declinato la proposta, poiché l’addio ai propulsori endotermici richiedono parecchio tempo in più del paventato. Di contro, tanti produttori hanno accettato, compresa la Daimler, che già per il 2030 punta a vendere unicamente vetture elettriche. Per lei non deve essere stato un problema formalizzare il quanto.